Cronache dalla Corsia – Episodio 13

Episodio 13 – Nessuno è più basito 

Stamani sembrava un giorno come tanti all’ospedale. Mi alzo, mi lavo quel tanto che drenaggio e bendaggi mi permettono, effettuo un download stimolato forse dall’aria confezionata, quindi rientro in stanza in attesa del passaggio del medico.

E qui comincia la sfilata dei protagonisti della stagione che salutano il pubblico: passa Fujiko a dispensare saggezza e medicinali, poi altri infermieri per la colazione, quindi arriva il dottore di Prolasso e lo dimette.

Faccio un altro download per festeggiare.

Il set inizia a svuotarsi: gli infermieri pian piano svaniscono e ne rimangono solo due o tre, le altre stanze vengono pulite e chiuse, nell’aria c’è come una triste musica giapponese, mi aspetto che da un momento all’altro si inizi ad avvertire l’odore di qualche pentola che bolle.

Finisco libri in lettura, ne inizio altri nell’attesa. Predispongo tutte le mie cose alla partenza, mi basta un segnale.

Infine, dal nulla compare una specializzanda, che mi dice “Sei guarito. Va’ e non peccare più” o qualcosa di ugualmente solenne. Appena la tipa esce mi rendo conto di non averle chiesto una cosa importante riguardo al certificato medico relativo alla mia convalescenza, ma niente, appena esco in corridoio vedo rotolare cespugli come nel deserto dell’Arizona. Ci deve essere una botola segreta da qualche parte.

Comunque mi viene tolto il drenaggio: la volta scorsa (nel 2006) ricordavo questa esperienza come dolorosissima per un decimo di secondo e poi disgustosa per il tempo restante, mentre sentivi chiaramente un tubo che ravanava nelle tue budella. Stavolta mi è stato consigliato di “prendere un bel respiro”, suggerimento che io avevo sempre applicato per prendere le supposte ma che ho recentemente scoperto essere un ottimo contrasto a qualsiasi tipo di dolore fisico improvviso. Il risultato è stato quello di sentire un dolore piuttosto forte dovuto al diaframma che premeva sulle ferite interne unito alla sensazione che un gatto mi camminasse nell’intestino. Non è stato così doloroso come pensavo, cioè il dolore sul punto dove era innestato il tubicino non l’ho proprio sentito. Ero invece occupato a maledire me stesso per aver fatto un respiro immediato e profondo senza tenere di conto il fatto di avere ferite interne vicine al diaframma. Insomma: mi ha fatto più male respirare che togliere il drenaggio.

Ma improvvisamente ero libero!

Libero di sciogliermi, perché fuori c’erano 36 gradi. I bendaggi, perlomeno, si sono staccati quasi subito per via del sudore. Per fortuna sono stato assistito da due amici, che per il ruolo svolto chiamerò Angelo e Angela. Angelo mi ha prelevato con la macchina portandomi a casa, Angela si è offerta volontaria per accompagnarmi in Toscana con la mia macchina (visto che io certo non posso ancora guidare per lunghi tratti) per poi rientrare a Roma in treno (stasera stessa, rifiutando un’offerta di mare e piscina pur di poter mantenere la parola data al proprio fidanzato, quella cioè di permettergli di accompagnarla domattina a Porta Portese. Se sembra contorto è perché lo è, ma c’è di mezzo qualcosa che sembra vero amore, e questa cosa è bella, dai).

Fatto sta che grazie ai due Angeli suddetti adesso sono finalmente nel mio letto, mi sono pulito le ferite e ho rimesso i bendaggi. Adesso posso chiudere il sipario anche su queste vicissitudini: nei prossimi giorni mi riposerò, speriamo senza grosse sorprese.

Grazie infine a tutti voi per avermi seguito fin qui: il vostro affetto mi è servito davvero molto per non scoraggiarmi nei momenti più grotteschi di tutta questa vicenda. Non avete idea di quanto faccia bene ridere dei propri guai quando si sta male; se vi capitasse di stare male, e prima o poi purtroppo capita, provate anche voi a riderne e resterete sorpresi dall’effetto.

A presto dunque, ci vediamo in giro. Mi riconoscerete perché sono quello senza colecisti.

Cronache dalla Corsia – Episodio 12

Episodio 12 – Prolasso finale

Dopo una notte tranquilla i miei nuovi amici, Catetere e Catarro, vengono velocemente rilasciati. Nessuno prende il loro posto; io mi godo (ve lo anticipo: per poco) la camera singola.

Passa il mio medico e mi dice: ti vorrei mandare a casa domani, ma ieri avevi i valori della bilirubina sballati e dobbiamo vedere se sono rientrati. Io dico che per me non ci sono problemi a restare anche fino a lunedì, ma lui mi fa notare che il reparto di week surgery chiude di domenica, e tutti i pazienti ivi rimasti devono essere spostati in chirurgia, assieme agli operati gravi, non come in questa isola felice ma nella terribile bolgia dove è pianto e stridore di denti. Avverto un fremito, e il fatto che bilirubina sembri un termine inventato apposta come pretesto narrativo per darmi modo di prolungare questa emozionante avventura in un contesto più “interessante” (per voi, brutti bastardi senza cuore) non aiuta a farmi sentire più tranquillo.

Sì procede quindi al prelievo, e l’infermiere fatica non poco a trovare una vena visibile da cui pescare. Dopo aver smucinato allegramente sull’attaccatura del mio gomito (ma il fatto che lì ci sia ancora un livido dal mio ricovero precedente avrebbe dovuto dirgli qualcosa…), decide infine di attingere dal dorso della mano destra, dove ovviamente rimane un’altra bella chiazza viola.

Arrivano poi a darmi l’antibiotico, e faccio gentilmente notare che è da ieri che l’agocannula sul mio braccio sinistro è diventata inutilizzabile perché la vena è andata in flebite e nessuno me l’ha ancora sostituita. Visto che è l’ultimo giro e poi la cannula non dovrebbe più servire, proviamo lo stesso, con il risultato che l’antibiotico finisce sul materasso invece che dentro di me.

L’infermiere decide quindi di sospendere l’antibiotico dicendo “chiedo al dottore un sostituto orale” (che non arriverà mai). Gli chiedo di togliere la cannula ma lui dice “devo metterne una nuova, non puoi stare senza in ospedale”. Comprendo la richiesta e l’esigenza, ma vista la difficoltà nel trovare la vena per il prelievo, rimanda la cosa a più tardi e scompare in una nuvola di fumo.

La giornata passa spedita, almeno finché non mi annunciano che devo cambiare stanza: in tutto il reparto siamo rimasti infatti in soli due uomini. Vengo quindi traslato insieme a un tipo che è stato operato di emorroidi con prolasso anale. Ora, alle emorroidi ci arrivo, ma non è che io abbia ben chiaro che cos’è il prolasso anale. Tuttavia, stavolta eviterò di cercare su Google; mi accontento di sapere che è l’operazione di routine dal decorso più doloroso in assoluto. Il tipo doveva essere dimesso stamani, ma ha implorato i medici di tenerlo un altro giorno solo per poter avere ancora antidolorifici.

Durante il pomeriggio, arriverà l’infermiera che nei giorni scorsi ho già imparato a conoscere per alcune sue uscite ai margini dell’agire nella legalità (non posso parlarne, davvero, c’è almeno una cosa – fatta per venire incontro a un paziente – che è a rischio di licenziamento) e che per semplicità chiameremo Fujiko, come la complice di Lupin III.

Dicevo, arriva Fujiko e il nostro amico Prolasso chiede quando potrà avere un nuovo antidolorifico. Lei precisa che può averlo subito, basta chiedere, ma che gli antidolorifici devono essere sempre richiesti dai pazienti, mai passati d’ufficio. Prolasso pensava di non poterne avere uno prima delle 20 e stava già soffrendo le pene dell’interno; scoprire di avere sofferto inutilmente nelle ultime due ore è stato un brutto colpo, ma si è subito consolato quando gli antidolorifici hanno fatto il loro effetto. Ne sono contento anch’io, perché mi ha notificato il fatto che durante le notti precedenti urlava letteralmente dal dolore (spero che non accada anche stanotte, se domani sentite di un tipo precipitato per errore nel cortile del San Giovanni, ecco, potrebbe non essere un errore).

Già che ci sono, faccio presente a Fujiko (no, non è gnocca come la Fujiko che avete in mente, e anche l’età non è la stessa) il mio problema con l’agocannula e lei decide di sostituirla. Molto bene: strappa il vecchio cerotto (ahi), toglie l’ago, prende un nuovo ago, cerca la vena nello stesso braccio ma più in alto ma non trova nessun giacimento che meriti un tentativo di prospezione, quindi desiste e prova a metà dell’altro avambraccio. Infila sicura l’ago e manca la vena di un chilometro. Prova altri due affondi ma è nuovamente costretta a rinunciare. “A questo punto” mi dice risoluta, “non rimane che metterla sull’interno del gomito destro”. Cioè, mi impedisci praticamente di muovere il braccio destro fino a domattina per mettere una cannula che comunque non dovrai usare mai? Facciamo che io ti firmo un documento dove rinuncio alla cannula e mi prendo io stesso i rischi di questa decisione? È dubbiosa, ma alla fine mi dà ragione, e si dimentica pure di farmi firmare il foglio (è proprio una ribelle!!).

Ah, una cosa che devo dire ma che sto rimandando da qualche giorno: in questa tornata ospedaliera ho ricevuto poche visite: grazie a chi è venuto, anche nei giorni subito dopo l’intervento, in cui credo di essere stato socievole quanto uno scaldabagno, e grazie anche a chi mi aiuterà negli spostamenti dei prossimi giorni.

Già, perché non vi ho detto che le analisi del sangue sono a posto: domani, se tutto va bene, mi mandano a casa. Il fatto che io abbia ancora qualche linea di febbre mi sembra l’ultimo dei problemi.

A domani quindi per il gran finale, con il momento che tutti aspettano da giorni: la rimozione del drenaggio! Se è come me la ricordo dalla volta scorsa, ci sarà da divertirsi!

Cronache dalla Corsia – Episodio 11

Episodio 11 – Di degenti e minestrine

Dopo aver dormito per quasi tutta la giornata di ieri, stamani mi sveglio prima dell’alba. Sarà un effetto postumo dell’anestesia, ma per passare il tempo inizio a fantasticare su come potrebbe essere complicato insegnare l’italiano a una classe di inglesi. Scopro ben presto che sarebbe un’esperienza agghiacciante.

Il mio unico compagno di stanza rimasto inizia da subito a lamentarsi perché non gli hanno ancora tolto il catetere. Non gli hanno neppure dato il permesso di alzarsi, ma lui lo fa lo stesso, finché gli infermieri non se ne accorgono e lo cazziano.

Finalmente arriva una colazione abbastanza prossima alla decenza: un bicchiere di tè e quattro fette biscottate. Giojamo!

Nel frattempo giungono in stanza due nuovi inquilini: un vecchietto che deve operarsi di ernia inguinale e un giovane millennial che deve fare il varicocele (maschietti, se non sapete che cos’è NON googlatelo).

Nel frattempo passano i medici ma non quello di Catetere, e gli infermieri gli dicono che finché non passa il suo medico non possono decidere né se toglierlo né se dargli da mangiare. Il simpatico chirurgo passerà a fine turno operatorio, alle 14:30, acconsentendo a entrambe le richieste ma dimenticandosi di avvisare gli infermieri in tal senso.

Alla fine, mezz’ora dopo, li chiamo io, faccio presente la situazione e loro inizialmente negano. Poi l’infermiera esce e ritorna dicendo “puoi mangiare, eccoti un bel pasto freddo!”. Dopo un’altra mezz’ora ritorna e dice “ti togliamo il catetere!”. Io evito di fare commenti sarcastici. Ditemi bravo. Grazie.

Torniamo al nostro amico Varicocele (vi avevo detto di non cercarlo!) che torna dalla sala operatoria e vaga come un’anima in pena per tutto il pomeriggio fino all’arrivo della madre, una ingombrante russa che fa due errori: il primo è quello di portargli il tablet così che lui starà a lungo a guardare ad alto volume la partita. Il secondo è quello di stendersi sul letto visto che il figlio preferisce stare seduto. Quando l’infermiera entra in stanza e vede la balena spiaggiata, le fa un cazziatone colossale, al che lei risponde candidamente “se non mi fate sdraiare me ne vado!”. “E se ne vada signo’, mica è lei a essere ricoverata!”.

Nella pausa tra i due orari di visita il tapino ha modo di parlare col suo chirurgo e chiede pressantemente di essere dimesso stasera. Il chirurgo dice di no, e alla fine si accordano sulle dimissioni volontarie contro il parere medico. Una volta ottenuta dal figlio la grazia per buona condotta, la madre rientra e si sdraia ancora sul letto, sfidando ogni convenzione con gesto platealmente rivoluzionario.

L’altro vecchietto operato di ernia inguinale (patologia che per il momento è in pole position sui degenti della mia stanza: abbiamo tre ernie, due colecisti e un varicocele, ma la classifica settimanale non è ancora chiusa) è abbastanza tranquillo anche perché non può ancora muoversi: in compenso la sua famiglia è sufficientemente molesta, e lui indulge in botte di catarro che fanno paura (starà morendo?).

Ho comunque più paura se devo dare io stesso un colpo di tosse o uno starnuto, in quanto tali normali movimentazioni del diaframma sono dolorosissime per le mie ferite.

Non vi ho detto che sto meglio? Beh, forse l’avete capito dalla puntata più articolata delle precedenti (e comunque scusate tanto, ma questo reparto è davvero troppo tranquillo). Purtroppo ho ancora la febbre alta (anzi, mi è salita in giornata), e anche il drenaggio. Il dottore ha parlato di dimissioni sabato; io onestamente spero che si arrivi a lunedì, per tutta una serie di ragioni logistiche tra cui la principale è: aria condizionata.

Non vi ho detto dei miei pasti! Ricordate il menu del mio precedente ricovero? C’è stato un piacevole momento amarcord: minestrina in brodo, purè, frutta frullata. A pranzo crocchette di pollo, a cena polpette di manzo.

Vado a dormire satollo e soddisfatto! Buonanotte!!

Cronache dalla Corsia – Episodio 10

Episodio 10 – Bestia che dolore! (cit.)

I miei due compagni di stanza di ieri sono stati dimessi in mattinata. Io invece no, sennò come faccio a scrivere nuovi episodi? Poi gli sponsor si lamentano…

Per quanto mi riguarda, è stata una giornata di dolori vari: le ferite, il mal di schiena per la posizione supina, l’aria che mi hanno sparato dentro durante l’intervento e che non riesco a espellere.

In pratica ho passato tutta la giornata a dormire. Questo reparto è il massimo della tranquillità, non ci sono personaggi bislacchi, anche il mio nuovo compagno di stanza (un anziano che si è operato di ernia inguinale) è sereno e non si lamenta. Due palle. Due palle per voi, a me va benissimo così!

E allora che vi devo raccontare oggi? Vi racconto i miei pasti: a colazione un bicchiere di tè, a pranzo nulla, a cena mezzo litro d’acqua. Evviva.

Domani non potrà che andare meglio: ormai è tutta discesa. Il mio unico timore è che qualcuno abbia dimenticato di controllare i freni.

Cronache dalla Corsia – Episodio 9

Episodio 9 – Aggiornamenti dal fronte

Ok stasera l’episodio sarà breve e noioso. Spero che mi perdoniate ma non sono esattamente al massimo delle forze.

Prima una fredda esposizione degli eventi: tutto inizia stanotte alle 3:30, quando il mio eroico fratello si mette in macchina e parte alla volta di Roma. Mi passa a prendere alle 6:30 e ci dirigiamo alla volta dell’ospedale. Troviamo persino parcheggio, anche se un po’ lontano. Alle 7 in punto mi presento al reparto, pochi minuti dopo mi chiamano (sono il primo), e in breve tempo sono già sul lettino diretto alla sala operatoria. Infermieri anestesisti e dottori gentilissimi, quasi mi rammarico di non avere nulla da raccontare. Mi addormentano senza preavviso, tutto troppo perfetto, avrei dovuto sospettare qualcosa.

L’intervento inizia alle 8:30, ma invece di durare un’oretta e mezzo come previsto, durerà tre ore. Aderenze, infiammazione, insomma al mio risveglio il chirurgo mi dice sorridente “mi hai fatto penare”. Io sono troppo occupato a combattere i brividi squassanti che segnano il mio improvviso ritorno alla vita, però ne prendo atto con pazienza.

Il resto della giornata passa tranquillo: mi danno un po’di antidolorifici ma li tolgono quasi subito. A seguito di interventi simili comunque il recupero è rapidissimo: già adesso sono in grado di alzarmi in piedi da solo e andare in bagno, una cosa che solo alle 17 di oggi mi sembrava un’impossibile utopia.

I miei compagni di stanza sono tranquilli e silenziosi. Uno operato di colecisti subito dopo di me, senza complicazioni e infatti è allegro e zompetta in giro felice. L’unico problema è che guarda qualche film sul cellulare e non ha le cuffiette, ma vabbè per adesso si può sopportare. L’altro operato di ernia inguinale, è stato sotto i ferri tre ore e mezzo ed è tornato in camera alle 18. Pur tranquillo, si capisce (anche perché lo dice esplicitamente a tutti) che sta potentemente rosicando dall’invidia perché ancora non ha potuto provare ad alzarsi.

Altri aneddoti poco divertenti (ma si prende quello che passa il convento): oggi si era rotta l’aria condizionata ma l’hanno subito aggiustata. Non posso bere niente e mi sta venendo il mal di gola per il clima freddo e secco. Sono lontani i tempi del primo ricovero, questa seconda stagione per adesso sembra sacrificare la trama in favore dello splatter.

C’è una buona notizia per voi: visto che il mio intervento è stato più invasivo del previsto, ho al mio fianco il tubo del drenaggio. Ciò significa che dovrò stare in ospedale qualche giorno in più del previsto. Secondo me il chirurgo è un mio lettore e l’ha fatto apposta.

Cronache dalla corsia – Episodio 8

Episodio 8 – Seconda stagione

Eccoci giunti all’attesissima seconda stagione di questa ormai popolarissima serie! Abbiamo lasciato il protagonista (cioè, io) in attesa di essere chiamato per l’esecuzione dell’intervento di colecistectomia.

Come forse ricorderete, in un primo momento l’intervento era stato fissato per il 21 giugno, ma pochi giorni prima mi avevano chiamato per dirmi che erano costretti a rimandare per non meglio specificati problemi alla sala operatoria.

La settimana successiva mi chiamano ancora: “Ehilà, ti ricordi dell’intervento? Ebbene, avverrà il 30 giugno. Stesso posto, stessa ora, non vediamo l’ora di risucchiare la tua colecisti, ciao”. Manifestando un incauto e immotivato ottimismo, inizio il giro di messaggi per informare parenti e amici della nuova data, senonché nemmeno un’ora dopo suona di nuovo il cellulare.

“Ohinè, siamo ancora noi. Ehm, c’è stato un piccolo disguido. Purtroppo il chirurgo che ti deve operare ha il turno di notte la sera precedente e quindi non può operare, siamo costretti a rimandare ancora”.

(nota: le parole delle mie risposte seguenti potrebbero non corrispondere esattamente a quanto da me pronunciato nella concitazione del momento)

“O gentile incaricata ospedaliera, mi punge rammarico nel dover constatare quanto testé mi riferite, nella fattispecie poiché voialtri operate esclusivamente nel dì di Marte e nel dì di Giove: qual bizzarro groviglio nei vostri cervelli vi spinge a fissare al cerusico un turno notturno proprio nei dì a questi precedenti?”.

“Purtroppo non avevamo letto correttamente i turni e quindi ci siamo sbagliati. Non te lo dico esplicitamente, ma probabilmente mi sono sbagliata io, e infatti sono costretta a chiamare io stessa per punizione tutti i pazienti della giornata annunciando il rinvio“.

“O mortificata fanciulla, deh non vi addolorate; son piuttosto io ad adombrarmi in vostra vece, stremato e sfinito dalle vostre continue lungaggini. Indarno dunque mi fu promesso un intervento in tempi rapidi, giacché tale aspettativa si rivela adesso purtroppo vana. Per quando ordunque sarà uopo di fissare la nuova data?”.

“Eeeeh purtroppo non lo sappiamo, perché ancora non sono usciti i turni di luglio. Ti sto chiamando durante la partita dell’Italia sperando proprio che tu sia distratto e quindi non ti renda conto di quanto siamo peracottari. Però appena escono i turni di luglio fissiamo la nuova data e ti richiamiamo. “.

“Il mio cor s’accende di speranza e ardore: conterò i giorni che mi separano da codesta nuova siffatta comunicazione, seguitando intanto lieto a desinare con minestre, tuberi lessati, carni bianche alla piastra e altre siffatte leccornie delle quali mai mi stancherei!”.

“Non puoi lamentarti, tu sei uno fortunato. C’è gente che per interventi simili aspetta 3-4 mesi, tu aspetti solo da un mese quindi ringrazia e zitto“.

“La vostra bocca proferisce improvvida favella, su materia di cui nulla cagnoscete! Oh, che si quieti ratto il mio cuore, così angosciato dal rinnovellar tutte le trascorse vicende: e il costante recere del mese di aprile, e il venir meno dopo il lungo calvario, e il coatto ricovero donde niuno seppe trarre diagnosi appropriata, e gli esami e le visite compiuti in via privata a cagione della vostra incompetenza…”.

“Ehm”.

“Ma infine mi punge vaghezza di porvi una questione sulla quale mi arrovellai lungamente dopo il nostro precedente contatto: per quale ragione la sala operatoria risultò indisponibile per la data pria fissata? Orsù, rivelatemi la risposta a siffatto arzigogolo”.

“Non c’erano anestesisti”.

E infine mi viene comunicata la data dell’intervento: domani, martedì 5 luglio. Devo presentarmi alle 7 del mattino, già lavato con sapone antisettico e già depilato su addome e inguine, perché sono il primo della giornata.

A domani sera dunque, per nuove, entusiasmanti avventure. Perdonatemi se scriverò poco o con pessima qualità, ma ancora non so quanto i postumi dell’anestesia mi concederanno di fare. Non vi spaventate nemmeno se non risponderò subito a messaggi o telefonate: appena possibile avrete mie notizie! Ciao!

Cronache dalla Corsia – Episodio 7

Episodio 7 – A month is not enough

Salve, vi ricordate di me? Sono il protagonista della prima stagione di Cronache dalla Corsia, la serie più appassionante tra tutte quelle uscite su questo blog. Se non sapete di cosa io stia parlando potete sempre recuperare andandovi a leggere gli episodi precedenti, cosa che potete fare facilmente pigiando qui.

Intanto vi tranquillizzo: al momento non sono ricoverato e sto abbastanza bene. Questo episodio serve solo per dire che la seconda stagione è imminente; del precedente cast solo il protagonista sembra essere stato rinnovato, per il resto sarà una serie completamente nuova, godibile anche da chi non abbia seguito la prima stagione (che comunque è sempre disponibile qui, eh).

Ma, per chi avesse seguito le precedenti vicende (che, vi ricordo, trovate qui), che cos’è successo in questo mesetto dopo le mie dimissioni dall’ospedale? L’attacco di diarrea con cui si chiudeva l’ultimo episodio si è risolto per fortuna nel migliore dei modi, con l’arrivo di un autobus e il rapido ritorno a casa. Un paio di giorni dopo si è fatta viva la dottoressa del reparto, dicendomi con fare cospirativo “vieni a trovarmi che ti dico come fare”. Sono perciò tornato in corsia (ovviamente durante un’emergenza che mi ha costretto ad attendere una mezz’ora), dove la dottoressa mi ha detto “eeeh certo che non potrei dirti una cosa del genere proprio qui in reparto”. Fortissimo è stato l’impulso di rispondere “allora potevi darmi appuntamento al ponte da’a Majana a mezzanotte”, ma ho mantenuto un perfetto aplomb continuando a fissarla negli occhi senza battere le palpebre. Non è bastato, visto che lei doveva prima parlare con il chirurgo. Tutto ciò che ho ottenuto è stata la promessa di un nuovo contatto telefonico.

Uscendo dal reparto, decido di avere ancora del tempo da perdere e vado in cerca dell’ufficio che rilascia copia delle cartelle cliniche, che non si sa mai che la mia cartella mi serva prossimamente. Lì mi attende una bolgia dantesca. C’è una stanzina con lo sportello, dove ci sono due operatrici particolarmente simpatiche (potrebbe non essere vero) e una procedura ottimizzata per garantire la migliore esperienza possibile all’utente. Bisogna prendere un modulo e compilarlo (senza che alcuna delle penne disponibili funzioni), leggere tutti i cartelli affissi (parzialmente contraddittori), fare la coda (ma entrando solo uno per volta nonostante gli sportelli siano due), vedersi passare avanti qualcuno senza aver ben capito perché, quindi scoprire che dopo aver presentato la domanda bisogna andare a un preciso sportello di un altro edificio, quello dove si pagano i ticket, però autorizzati a saltare la coda col rischio di farsi menare, pagare, tornare al primo sportello, passare avanti nella coda (e adesso si capisce perché c’era gente che scavallava prima), terminare la registrazione della domanda e poi sentirsi dire “torna tra un mese, ma prima di venire chiama perché di solito ritardano”. Per fortuna io ho deciso di investire 5 euro per farmi spedire tutto a casa, ma comunque il concetto è sempre “se tra due mesi non ti è ancora arrivato, chiamaci”. In tutto questo, mi scordavo di dirlo, la coda è stata rallentata da almeno due persone imbufalite da questa procedura del cazzo creativa e rimandate a casa dalle due operatrici, la cui cordialità e affabilità è stata subito elevata a paradigma.

Ma torniamo alla vicende cliniche in senso stretto. La dottoressa mi ha effettivamente richiamato il giorno dopo per girarmi il contatto del chirurgo: sono perciò andato prontamente a fare una visita privata dal suddetto (dalla parte opposta della città, inutile specificarlo) con lo scopo di farmi mettere in lista di priorità per l’intervento all’ospedale.

A onor del vero, fino all’ultimo sono rimasto in ballottaggio con l’altra opzione praticabile, cioè ricorrere alla clinica privata suggeritami dal mio gastroenterologo. Naturalmente l’appuntamento con il chirurgo e quello con il gastroenterologo mi sono stati fissati alla stessa ora ai due lati opposti della città e subito prima del ponte del 2 giugno, cosa che impediva una ripianificazione rapida di uno dei due, e quindi sono stato costretto a operare una scelta. Ho scelto una struttura pubblica invece che una clinica convenzionata semplicemente perché gli ospedali sono meglio attrezzati per le emergenze: se c’è un piccolo margine di rischio a fronte di un intervento come quello che devo affrontare, meglio ridurlo al minimo.

(Senno di poi: probabilmente è stata la scelta sbagliata, altrimenti non sarei ancora qui ad aspettare.)

Il chirurgo si è rivelato assai preparato e professionale. Mi ha confermato di operare in un reparto (detto “Week surgery”, o forse “Weak surgery”, non ho capito bene) con tempi di attesa rapidissimi, non condiviso con oncologia come il reparto Chirurgia (e quindi con compagni di stanza tendenzialmente meno gravi), ti metto in lista subito e vedrai che si risolve al volo. Per fare prima mi basta passare in reparto, dalla solita dottoressa, per fare copia di tutta la mia cartella con lo scopo di velocizzare alquanto la preospedalizzazione (ah, che bello scoprire quanto sia stato inutile rivolgersi al dantesco sportello per il rilascio dei referti, quando invece bastava andare in reparto e farsi fare di nascosto una fotocopia!).

Mi chiede soltanto, in aggiunta, di fare una gastroscopia. Giusto per essere sicuri che non ci siano altri problemi, e chiedendosi perché mai all’ospedale non me l’abbiano fatta (già, chissà come mai). Vado così anche dal gastroenterologo, che la gastroscopia me la fa subito. C’è un polipo strano nello stomaco, facciamo una biopsia e servirà una settimana per il responso. Nel frattempo siamo arrivati al 28 maggio, è passata una settimana dalle mie dimissioni.

La settimana successiva passo in corsia a prendere la mia cartella clinica. La dottoressa fruga nell’armadio, prima nel ripiano giusto, poi in tutti gli altri e alla fine mi dice candidamente “non c’è, mi sa che è sparita, mi spiace, arrivederci”. Superato il primo momento di shock, e superato anche l’impulso di sfondarle lo sterno, estrarne il cuore e divorarlo ancora palpitante, chiedo umilmente “posso controllare anch’io?”. Ovviamente trovo subito la mia cartella, che era l’ultima del primo ripiano dove lei aveva guardato. Peccato che questo personaggio della dottoressa non sia stato rinnovato per la seconda stagione, sono sicuro che ci avrebbe riservato altre soddisfazioni.

Il 6 giugno passo poi a ritirare il referto della biopsia, che però non è ancora arrivato. La segretaria del gastroenterologo chiama il laboratorio di analisi e insomma alla fine il problema è che la segretaria non riesce a scaricare le email da tre giorni, ma alla fine si collega da un altro PC e ci riesce (mi sono anche offerto di provare a sistemare la sua configurazione, ma si è un po’ piccata e ho desistito). Il referto infine arriva: tutto a posto nel mio stomaco, sospiro di sollievo.

Il giorno successivo ho la visita con l’anestesista per la preospedalizzazione. Mi hanno fissato l’appuntamento per le 9 del mattino. Quando arrivo, un po’ in anticipo, la sala d’attesa è letteralmente intasata di gente: solo posti in piedi. Mi sfiora il sospetto che siano stati convocati tutti per le 9 del mattino. Chiedo in reception e invece, colpo di scena!, il mio appuntamento era un appuntamento vero, non dovendo io fare accertamenti aggiuntivi: vengo accompagnato da una gentile hostess fino alla stanza dell’anestesista, e alle 9:15 sono già fuori. Probabilmente questa è stata l’esperienza più straniante di tutte le mie vicende ospedaliere.

A questo punto aspetto la chiamata per il ricovero. Il chirurgo mi aveva detto “ti operiamo due-tre giorni dopo la preospedalizzazione”, ma – scopro – aveva mentito spudoratamente. Mi chiamano infatti dopo dieci giorni, fissandomi la data dell’intervento per il 21 giugno, appena un mese dopo le mie dimissioni dal reparto. In questo mese, lo ricordo, ho continuato a mangiare come se fossi all’ospedale, tremando a ogni pasto per l’ansia di una ricaduta. Per fortuna sembra che la dieta sia servita al suo scopo.

Siamo perciò pronti all’intervento, tutto è organizzato; l’unica ansia è di non prendermi un raffreddore, perché se mi viene la febbre tocca rimandare l’operazione.

Venerdì pomeriggio però arriva una nuova telefonata dall’ospedale: “Ehi, ciao, lo sai che abbiamo avuto casini con la sala operatoria e tutte le operazioni programmate sono state rimandate? Lunedì la caposala fa la ripianificazione e ti facciamo sapere la nuova data per l’intervento! Ciaone!!”.

La seconda stagione perciò non inizierà il 21 giugno come previsto, ma in nuova data ancora da definirsi. Ciaone anche a voi.

Cronache dalla Corsia – Episodio 6

Episodio 6 – Andata e ritorno

Domattina mi mancherà la sveglia dello stordito, che alle 5:30 si toglie la mascherina dell’ossigeno. Mi mancherà di urlargli contro di starsene zitto e lasciarci dormire. Mi mancherà il bagno con quel miscelatore che devi ricordarti di spostarlo sull’acqua calda quando lo chiudi, perché altrimenti gocciola. E mi mancherà anche la tazza del cesso con il copritazza appoggiato in un angolo, così da permetterti di scegliere ogni volta se ne hai bisogno oppure no. Mi mancherà anche quell’impagabile brivido della colazione, quando sai benissimo che il tè sarà freddo, ma non scopri fino all’ultimo se ti toccano i Plasmon o le fette biscottate (oggi Plasmon). Mi mancheranno i gabbiani che si mangiano le saponette del normale, visto che lui le mette sul davanzale ad asciugare, ma che in compenso schifano i panini della mensa ospedaliera, sullo stesso davanzale. Mi mancheranno anche i commenti degli infermieri, durante la giornata, in merito alle mie urla del mattino.

Tutto questo mi mancherà, lo avrete immaginato, perché sono tornato a casa. Ho pazientemente atteso che si concludesse il giro di visite odierno per trovarmi nuovamente faccia a faccia con la dottoressa di qualche giorno fa, quella che subito aveva diagnosticato la colecistite. Vediamo insieme i risultati della colangio RM (quel simpatico esame che ieri mi ha tenuto occupato per buona parte del pomeriggio, e che ha dilazionato le mie dimissioni di due intere giornate) e il suo commento è “perché te l’hanno fatta fare? E’ un esame inutile nel tuo caso. In genere si fa solo se i sintomi persistono anche dopo l’operazione”. Io non ho potuto che allargare le braccia sconsolato; le ho anche fatto presente che non sono laureato in medicina e quindi non posso che fidarmi di quanto mi viene detto di fare, ma anche che tutto sommato mi sarei sufficientemente rotto di vedere ogni giorno un medico diverso che dice l’opposto di quello del giorno prima. Mi dà ragione, ma la ragione è dei fessi, quindi forse mi ha dato del fesso. Rido, come un fesso.

A questo punto però la domanda che mi preme, e che faccio, è “che ne sarà di me? Quando mi rimandate a casa?”. Lei fa la stessa faccia stupefatta che avrebbe fatto se le avessi chiesto di controllarmi la pressione delle gomme. Ma l’unica obiezione valida che sa contrapporre alla mia richiesta è il fatto che gli altri medici le hanno lasciato tre dimissioni da fare, tutte su casi che non ha seguito personalmente se non di sfuggita. In ogni modo mi dice di aspettare, che mi dimetterà per ultimo. Mi chiede anche come intendo fare per l’operazione, perché ovviamente ancora non sono guarito e non le va di mandarmi via senza operarmi. Io le faccio presente i tempi che mi sono stati prospettati, e mi dà ancora ragione (fesso), poi le parlo del mio piano alternativo, quello di rivolgermi a una clinica convenzionata. Lei fa ancora la faccia del gommista, dicendomi che è sempre meglio operarsi in una struttura pubblica. Le dico che sono d’accordo con lei, ma che la struttura pubblica mi ha prospettato tempi biblici.

Ed ecco che la dottoressa se ne viene fuori con un inaspettato piano C, che sembra un classico espediente da serie TV, di quelli che escono sul finale e che se servono da premessa per tutta la stagione successiva. “Ma perché” mi dice, “non fai una visita privata con un chirurgo che lavora qui in ospedale in modo che poi lui ti faccia passare avanti e ti operi prima degli altri?”. Mi dà qualche dettaglio in più, e rimaniamo d’accordo per rivederci lunedì, così che lei possa chiamare il chirurgo per chiedergli questa cosa in mia presenza. Anche perché ci sta benissimo che non sia possibile fare niente del genere, trattandosi di un intervento in laparoscopia, e i chirurghi a quanto pare odiano la laparoscopia perché richiede precisione e probabilmente anche perché c’è poco da squartare.

Ora, io sono contento di avere un’opzione in più, eh. La cosa che veramente non riesco a mandare giù è il fatto che debba sempre esistere la manovra elusiva “per i furbetti”, che basti pagare un pizzo (la visita privata) per ottenere un privilegio (l’operazione con priorità), e sarei quasi intenzionato a orientarmi comunque sulla clinica convenzionata, perché almeno in quel caso lo so da subito che mi rivolgo al mondo del privato e non ci sono magheggi strani. Però poi ci penso su un altro po’ e ricordo che anche il mio gastroenterologo è primario di chirurgia in un (altro) ospedale pubblico, e che insomma qui fanno tutti nel solito modo. Ed è un modo squallido e deplorevole, e la vera riforma della sanità andrebbe fatta partendo proprio da qui, impedendo a chi fa il dottore in una struttura pubblica di esercitare anche la professione in privato (come avviene in ogni altro ambito, eh! Io per esempio non posso esercitare la professione di informatico per i cavoli miei, perché sono dipendente pubblico). Il medico con cui avevo parlato l’altro ieri, quello gentile che ci provava, me lo aveva detto chiaramente: “Il chirurgo ti ha detto che ci vogliono tre mesi? Io vorrei che una volta tanto questi signori si trovassero dall’altra parte e si sentissero dire anche loro che devono aspettare mesi per ricevere cure urgenti. E invece gli stessi personaggi, quando lavorano in clinica, nello stesso tempo riescono a concludere il doppio degli interventi”.

E questa stagione di “Cronache dalla Corsia” si chiude proprio su queste note amare, con un cliffhanger da manuale:

Luigi esce dall’ospedale, ancora non sa dove si opererà, né quando. Ma per il momento non ci pensiamo, perché fuori fa caldo, è una bella giornata e la città trasuda voglia di vivere. Si mette ad attendere un autobus sotto al sole, ma per mezz’ora non passa nulla. Si incammina a piedi, ed è proprio allora che arriva l’attacco di diarrea.

 

Cronache dalla Corsia – Episodio 5

Episodio 5 – Il radiologo colpisce ancora

La quiete prima della tempesta. L’attesa che precede la battaglia. Le nove puntate in cui si aspetta che succeda qualcosa prima del finale di stagione. Questa potrebbe essere la descrizione della giornata di oggi, qui in corsia.
Tutti sono stati buoni, nessuno ha dato di matto, una vera noia e soprattutto una solenne fregatura per me che adesso rischio di scrivere un episodio sottotono, e poi gli ascolti calano e ci tocca abbandonare le speranze di vincere un Emmy.

Vi parlo allora del mio pranzo: vedete se indovinate cosa ho mangiato? Provateci, su… Lo volete sapere? Niente! Perché la risonanza magnetica richiedeva di andare a stomaco vuoto!

Dato che non abbiano argomenti migliori, parlerò dunque dei parenti in visita ai miei compagni di stanza.
Il lento è da settimane in attesa che lo operino a un piede. È un intervento piuttosto complicato, ma nessuno sa fissare una data certa. Le due figlie oggi si sono prodigate per rincuorarlo e hanno fatto un po’ la voce grossa con lo staff medico, temo senza esiti significativi; lui in compenso è sempre più depresso e sempre più sarcastico nel commentare ciò che avviene qua.
La moglie del moribondo viene ogni 3 giorni perché deve accudire una figlia disabile, e capisco che farebbe volentieri a meno di venire perché non riesce a interagire col marito in nessuna maniera e questa cosa ovviamente la distrugge.
Il figlio dello schiodato oggi ci ha spiegato che suo padre (colpo di scena!) non è così schiodato come sembra: pur novantenne, a casa è quasi del tutto autosufficiente e va anche in giro da solo per il quartiere, però lo fa portandosi sempre dietro la bombola dell’ossigeno. Quando non è sotto ossigeno, perde il lume della ragione. Il motivo per cui nei giorni scorsi è apparso particolarmente schiodato è che gli infermieri non gli davano l’ossigeno, o non gli cambiavano la bombola quando finiva. Quando ha il respiratore diventa in effetti un’altra persona.
Chiudiamo con l’isterica figlia del normale, che oggi ha dato il meglio di sé nel teatrino con il genitore:
“Papà ti ho portato il riso ai funghi così non mangi solo quello che ti danno qua”.
“Chi te lo ha chiesto? Qua abbiamo abbastanza da mangiare ed è buono”.
“Papà usa l’inalatore per respirare”.
“No, sono in cura, mi danno loro quello che mi serve, questo inalatore portalo via”.
“Papà a casa ti devo comprare lo spremiagrumi elettrico così fai meno fatica a farti le spremute”.
“Non faccio nessuna fatica e mi vengono meglio con quello normale, mica sono un incapace come te”.
“Papà chiamo l’infermiera perché il tuo vicino forse si sente male”.
“Devi farti i cazzi tuoi!!!”.

Meglio che al cinema.

Dopo pranzo, l’infermiera che sta staccando il turno mi dice “hai appuntamento alle 16:40, quindi magari alle 16:30 ricorda ai miei colleghi di chiamare in radiologia”. Inizio ad avvertire un lieve motivo di preoccupazione. Alle 16:30 passo e ovviamente loro cascano dal pero, 10 minuti dopo ripasso e l’infermiera di turno (finalmente una carina, anche se non sembra particolarmente sveglia) sta ancora cercando di telefonare, prova mille numeri e ognuno la rimbalza dicendole che lui non c’entra niente con il mio esame. Un’altra infermiera si unisce al tentativo, frugano su agende telefoniche cercando il numero giusto ma senza risultato. Dopo un pochino provo a buttare là un “la vostra collega diceva di chiamare in radiologia”, al che loro dicono “ovviamente eheh, è quello che stiamo cercando di fare”. Sarà un caso, ma subito dopo azzeccano il numero esatto. La macchina per la risonanza è in ritardo, richiamano loro quando si libera.
Alle 17:45 chiamano e scendo di nuovo nell’anticamera di radiologia, dove già sono stato parcheggiato a lungo mentre ero al pronto soccorso. Qui faccio mio malgrado la conoscenza di un altro vecchio barellato, in attesa di una ecografia, che racconta a tutti i presenti che in 86 anni è la seconda volta che va in ospedale, e che la prima volta è stato perché aveva molto sangue nelle feci ma non hanno capito perché (so che voi volevate saperlo esattamente quanto volevo saperlo io). Insomma, ridendo e scherzando mi fanno entrare alle 18:40, con appena due orette di ritardo. La risonanza procede senza grossi intoppi (a parte il fatto che la interrompo una volta perché non riesco a tenere le braccia nella posizione richiesta dal tecnico), quindi torno in camera dove mi attende finalmente la cena (fredda, stasera crocchette di pollo), assieme a un amico in visita (l’unico oggi, grazie di essere venuto!).
I risultati della risonanza arrivano domattina. Adesso la grande domanda che solo domani riceverà risposta è “il medico del sabato mattina sarà abbastanza coraggioso da firmare le mie dimissioni oppure mi attende un fine settimana in ospedale, con nuove, eccitanti avventure?”.

So già quale sarebbe la vostra scelta se doveste decidere voi, ma sappiate che siete delle brutte persone.

Cronache dalla Corsia – Episodio 4

Episodio 4 – Una nuova speranza

La speranza del titolo, oltre che una ovvia citazione, è che questa serie, ormai di grande successo, venga rinnovata per una seconda stagione.
Ci sperate voi, lo preciso, ma a quanto pare ci sono buone probabilità che le vostre speranze siano ben riposte.

Ma veniamo a noi, che con la giornata di oggi potrei tirare fuori anche due episodi. Tutto ha inizio la solita mezz’ora prima della sveglia, quando lo schiodato inizia a chiamare perché vuole che gli venga svuotato il pappagallo. Mi alzo e glielo svuoto io, resistendo alla tentazione di farlo sulla sua testa.

Dopo la colazione, inizia una sarabanda di emozioni che culminerà con la visita medica.
Per cominciare, il mio compagno di stanza (finora) normale decide che potrebbe essere divertente dare da mangiare a piccioni e gabbiani, apre la finestra, sbriciola un panino e viene assalito da uno stormo che cerca di azzannargli un braccio. Si becca un cazziatone carpiato da tutti gli infermieri e i dottori.
Poi arrivano i fisioterapisti per far camminare lo schiodato. Dopo 5 minuti tornano, l’altro compagno di stanza (quello lento) fa una battuta tipo “già tornati?” e il fisioterapista gli risponde con parole non troppo dirette un qualcosa equivalente a “vedi di farti una sacchettata di cazzi tuoi”. Segue scambio di battutine sarcastiche e non si arriva alle mani giusto perché il lento non riesce quasi a camminare (ma io avrei scommesso comunque su lui, visto che è armato con una pesante stampella e il fisioterapista non sembrava molto tonico).
Poi volano altre male parole nel corridoio tra the Wheeled Lawyer e tutto il team di medici e infermieri, visto che a quanto pare il (poco) paziente si è andato a nascondere all’ora prevista per la sua colonscopia.

Arriva infine l’ora delle visite e, non del tutto inaspettatamente, c’è un nuovo dottore diverso da quelli dei giorni scorsi (in realtà era accompagnato anche da quello di ieri). Pensano a me per primo e già pregusto il vento delle dimissioni. Lui guarda la mia cartella, mi chiede qualcosa e poi dice “no, non è possibile che sia colecistite”. All’improvviso le gonadi mi scendono sotto alle ginocchia. Lui mi visita, si consulta con i due dottori che stanno con lui, discutiamo un po’, racconto i miei sintomi per l’ennesima volta più uno, quindi decide che è il caso di fare una risonanza magnetica per avere un panorama chiaro delle vie biliari. Io già intravedo un destino di fine settimana in ospedale. Poi chiede se ho con me vecchie analisi, al che gli mostro quelle dello scorso marzo. Rimane affascinato soprattutto dalla salute della mia prostata, e l’altro medico (che, deduco, è un urologo) viene costretto dal primo ad affermare che mi farebbe volentieri un esame della stessa per l’ebbrezza di vedere una volta tanto una prostata completamente sana. Mantengo la faccia da poker e cerco di riportare il discorso sul tema epatico, poi per fortuna il dottore passa al mio vicino moribondo e inizia a togliere delle fasciature per medicarlo.
Io comunico le ultime novità a un po’ di gente, quindi alzo lo sguardo distrattamente dal cellulare verso il mio vicino e vedo il suo sedere aperto, sventrato, purulento e maleodorante che mi fissa. Esco a fare una passeggiata.

Visto l’argomento del paragrafo precedente, questo è il momento giusto per farvi conoscere anche il menu dei miei pasti, quindi ve lo esplicito: sono tutti uguali. Pastina in brodo vegetale, puré e mela cotta in scatola sono piatti fissi per la mia dieta; cambia il secondo, che oggi per esempio sono state crocchette di pollo a pranzo e polpette di manzo a cena, ieri hamburger a pranzo e tacchino arrosto a cena, l’altro ieri hamburger a pranzo e crocchette di pollo a cena. Anche nei secondi abbiamo già due doppioni su 6 pasti, se continua così mi sa che non finisco l’album.

Altri accadimenti del pomeriggio: ho telefonato al gastroenterologo che mi ha detto che non ci sono problemi per l’operazione. Appena mi dimettono vado da lui con tutti i documenti e mi si opera in settimana! Evviva!

Entra un’addetta alle pulizie in stanza, guarda fuori dalla finestra e vede avanzi di pane sul balcone. Inveisce contro il cretino che dà da mangiare ai piccioni non avendo idea di quante malattie possano trasmettere. Il normale fischietta in un angolo fingendosi un’asta per la flebo.

Busso anche al dottore per chiedergli se ha idea di quando sarà la mia risonanza: ancora la prenotazione non risulta sul computer, ma rivediamo insieme i referti degli esami che ho fatto lunedì. La Tac cranica, a parte il setto nasale leggermente storto, è praticamente perfetta; idem la lastra del torace; dall’ecografia si vedono i calcoli ma non si direbbe che la colecisti sia messa tanto male… Già che c’è mi controlla pure la tiroide, ma anche quella è tutta a posto, l’impressione sbagliata che aveva avuto guardandomi è dovuta alla scoliosi. Insomma, unita ai complimenti per la prostata del mattino, sembra quasi che il dottore ci stia a provare con me. E in ogni modo apprezza molto il mio stato generale di salute. Se domattina mi trovano morto e mi espiantano gli organi, sapete a chi dare la colpa.

Anche oggi, come ieri e nei giorni scorsi, sono stato allietato dalla visita, dalle telefonate e dai messaggi di molti amici. Non posso ringraziarvi tutti qua, perché non voglio fare nomi in un post pubblico, ma sapete che parlo di voi: grazie!

Ah, poi si è saputo per quando è fissata la mia risonanza magnetica: domani pomeriggio. La serie va quindi avanti almeno fino al quinto episodio, rimanete sintonizzati!